[ coproduzione Stemal Entertainment, Ipotesi Cinema, Les Films d’lci, Rai Cinema, 2017]
L’ultimo film dei fratelli Taviani (e di tanti altri della loro famiglia), «ispirato al romanzo omonimo di Beppe Fenoglio» come dichiara la locandina, è un’opera deludente e non solo in rapporto al romanzo. Si ripropone l’antica questione del rapporto tra cinema e letteratura, ma questo non è il focus del presente discorso, anche se lo riguarda. È in gioco la memoria storica e la relazione tra le ragioni per cui ragazzi come Milton (il protagonista del film e del libro) si sacrificarono durante la Resistenza e il loro destino individuale (o “privato”). Si pone una questione umana generale del rapporto tra l’individuo e la Storia. La trasposizione della vicenda romanzesca sarebbe stata relativamente semplice, perché Fenoglio la scrisse anche per il cinema, ne fa fede la testimonianza del regista Giulio Questi, ma soprattutto per il ritmo e la struttura del libro: una corsa mozzafiato, in una nebbia che ottenebra i sensi, ma non la coscienza, una sequenza di scene in rapida successione e una serie di flashback (quelli della relazione tra Milton e la capricciosa Fulvia), che danno un senso moderno alla vicenda. Il film dei Taviani ha un ritmo lento e riflessivo senza apparenti contenuti, nonostante racconti della caccia disperata di un prigioniero da scambiare con l’amico Giorgio, partigiano in mano ai fascisti. La sceneggiatura segue la linea del romanzo, fedele in apparenza fino alle singole battute, ma ne dà un senso del tutto differente. Dove se ne discosta (ad esempio nella scena dell’incontro tra Milton e i suoi genitori o in quella del prigioniero fascista folle, che nessuno vuole) sottolinea la dimensione “privata” della storia. Ma è soprattutto nella scelta finale che film e romanzo si discostano. In questo senso è onesta la dichiarazione della locandina che prende le distanze dal romanzo: essa è la spia semantica che denota come l’operazione dei Taviani sia consapevole. La critica letteraria ha discusso intorno a due passaggi del racconto di Fenoglio: il capitolo dedicato alla fucilazione di Riccio e Bellini, due giovanissime staffette partigiane, come rappresaglia per il tenente della milizia repubblichina, che Milton ha preso prigioniero e ucciso tentando di impedirne la fuga; e la fine del romanzo in cui il bosco pare “far muro” e Milton «a un metro da quel muro crollò». È noto che quello che Calvino giudicò “il romanzo della Resistenza” è uscito postumo nel 1963 e per la vicenda dei manoscritti viene considerato incompiuto. Il titolo è probabilmente redazionale, sembrerebbe che l’autore fosse propenso a intitolarlo come la canzone dell’amore di Milton e Fulvia, Over the Rainbow, molto significativa. In particolare non si capisce se Milton sopravvive o muore. Penso che il finale sia deliberatamente aperto: la fine di Milton è sospesa come dilemmatica è la sua posizione rispetto alla Storia. I Taviani optano per la soprawivenza di Milton e nella scena finale del film gli mettono in bocca una battuta di Fenoglio, «Fulvia a momenti mi ammazzi!», ma con il tempo del verbo all’imperfetto. Inoltre il capitolo di Riccio e Bellini è sembrato alla critica come un’interpolazione di tipo collettivo, che stonerebbe con la storia tutta individuale di Milton. In realtà la carambola del destino con la rappresaglia riporta la vicenda individuale di Milton e il suo ostaggio a un contesto collettivo, una costante della storia umana. Dunque aveva ragione Calvino: Fenoglio ha colto il senso universale della Resistenza, proprio nel dilemma tra individuo e storia collettiva; i Taviani lo hanno sciolto optando per la ricostruzione, figlia dei nostri tempi, del tutto “privata” del destino di una generazione e di un popolo.
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